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intervista al M° Taiji KASE

filosofia
Intervista a Sensei Taiji Kase 9º DAN di Karate-do Shotokan Ryu
Autor: Martín Fernández Rincón - 2000

M.F.: Può parlarci di come ha affrontato la pratica del Karate dopo la sua malattia?

Taiji Kase: Una volta superata la parte peggiore della rianimazione dall’infarto, i dottori mi dissero che avevo accumulato molta acqua nei polmoni. E loro non si spiegavano il fatto, perché sostenevano che un evento del genere doveva essere accaduto nel corso di molti anni e che, senza dubbio, l’avrei dovuto notare: tuttavia io non avevo mai avuto problemi di salute.

Quanto al mio recupero, fu molto importante ricordare l’esperienza di Yoshitaka Funakoshi, il quale, anche se malato e a letto per la maggior parte delle giornate, quando giungeva la notte si metteva il Karate-gi e diveniva forte e dinamico come se non avesse niente. Perciò, durante il periodo del mio recupero, tenendo ben presente quest’esperienza, decisi di accettare la sfida di dimostrare che con il Karate si possono superare molti problemi, anche quelli di salute. Tutto questo, nonostante il fatto che i dottori mi raccomandassero di smettere con la pratica e l’insegnamento del Karate e di abbandonarlo completamente. Durante la mia convalescenza ricordai anche l’esperienza di Sensei Egami, un altro dei miei Seniors dal quale ricevetti lezione. Anche Sensei Egami fu molto malato e dovette sottoporsi a vari interventi chirurgici e, tra le altre cose, respirava con grande difficoltà. Tuttavia, quando dava lezioni con il suo aiutante il Sensei Takagi, Egami recuperava le forze respirando in maniera particolare per alcuni istanti e poi diceva: “Ok, adesso posso iniziare ad insegnarvi” e si lasciava attaccare, eseguendo delle difese e dei contrattacchi molto rapidi e, soprattutto, molto contundenti. Poi tornava a respirare ancora male e, così si fermava un attimo… recuperava le forze e diceva: “Ok, adesso vi insegno come si esegue uno Tsuki”, si posizionava e faceva un Tsuki magnifico. È per questo che decisi d’imparare dai miei Seniors e mettermi alla prova come loro avevano fatto, vale a dire che, anche se non potevo stare sempre bene, potevo concentrare il potere per brevi periodi di tempo, per poi recuperare e così via.

M.F.: Quali furono i suoi maestri di Karate dai quali ricevette lezioni?

T.K.: Eravamo membri dello Shotokan-Dojo ed ufficialmente lo Shihan (Maestro di più alto grado) era Funakoshi Gichin ed il secondo Shihan Funakoshi Yoshitaka (suo figlio). Un altro degli istruttori da cui ho ricevuto lezione, è stato Hironishi Genshin. L’Università, inoltre, invitava una volta alla settimana, ufficialmente, differenti istruttori come: Funakoshi Gichin, Yoshitaka, Hironishi, Kawata, Okuyama, Hayashi, Uemura, Kubota ed altri. Pertanto, l’insegnamento che ho ricevuto non è come normalmente s’intende, bensì sono e siamo stati influenzati da vari istruttori. Per lo meno, una volta la settimana avevamo un istruttore invitato dall’Università di Senshu.

M.F.: Ci ha parlato molto di Sensei Okuyama Tadao, il quale, così abbiamo inteso, era ed è una persona molto speciale. Ci parli di lui e del perché lo stima tanto.

T.K.: Per parlare di Sensei Okuyama risalirò a quando le cinque Università di Shotokan svolgevano gli esami di DAN congiuntamente. In questi esami si realizzavano Kata, Kihon e Kihon-Kumite e gli istruttori Seniors davano i loro punteggi per qualificarli. Gli aspiranti all’esame eseguivano Kumite tra loro, ma dopo la prova era abitudine che qualcuno dei Seniors realizzasse lo stesso esercizio con gli aspiranti. In quell’occasione apparve Sensei Okuyama ed ho un ricordo impressionante di lui, perché attaccava con più velocità e contundenza degli altri e noi aspiranti non potevamo nemmeno reagire, non avevamo modo di difendersi, quando volevamo farlo, ce lo trovavamo già addosso con un pugno al volto. E tutti rimanevano allucinati dalla sua impressionante bravura. Ah, circa gli esami di DAN, al termine della 2ª Guerra Mondiale, i primi a sostenere l’esame di SANDAN (3° Dan) fummo Shimamura, Jotaru Takagi ed io. Durante questa prova Motokuni Sugiura, che oggi giorno è Istruttore Capo della J.K.A./World Federation, fu promosso a SHODAN (1° Dan).

M.F.: Può spiegare ai lettori perché Yoshitaka Funakoshi influì tanto sull’evoluzione del Karate Shotokan?

T.K.: Quando iniziai la pratica del Karate, i nostri Seniors ci spiegavano che Sensei Funakoshi Gichin era il pioniere del Karate. Ma ci dicevano anche che la grande evoluzione, rivoluzione e sviluppo dello stesso era stato portato a termine da suo figlio Yoshitaka: fu lui a realizzare un Karate più rapido, più forte e dinamico. Sensei Yoshitaka cercava la realtà, l’efficacia, il provare se realmente le tecniche funzionassero contro gli attacchi. Ma la cosa importante che si deve comprendere è che la grande evoluzione del Karate che portò Sensei Funakoshi Gichin di Okinawa fino al Karate che realizzava Sensei Yoshitaka, fu possibile grazie al concetto di O-Waza (tecnica di lunga distanza), con la massima velocità e potenza. Tuttavia non dobbiamo fermarci a questo concetto, perché la cosa realmente importante è dominare l’O-waza per arrivare ad essere efficaci nello Ko-waza (tecnica di corta distanza). Lo stesso Gichin Funakoshi giunse ad affermare che il Seite (quando un braccio difende e l’altro contrattacca) è importante, ma lo è ancor di più il lavoro di Hente (difesa e contrattacco con lo stesso braccio) e l’Hente è direttamente collegato alla pratica di Ko-Waza.

Per quanto precedentemente esposto, diviene particolarmente importante comprendere il concetto di O-Waza e come fu storicamente. Immaginiamo che la realizzazione di un Tsuki su una distanza di un metro impiegasse un tempo “X”. In sostanza, quello che faceva Sensei Yoshitaka era aumentare la progressivamente distanza, per esempio due o tre metri, tentando di impiegare lo stesso tempo, per ottenere dunque molta più efficacia: da lì sorse l’importanza della posizione di Fudo-Dachi. Nei tempi di guerra, gli antichi Samurai davano molta importanza ai movimenti realizzati in Ko-Waza cercando l’immediatezza dell’azione, perché ci si giocava la vita nella distanza corta. Poi, in tempo di pace, aumentarono progressivamente i percorsi delle tecniche, centrandosi più sul lavoro di O-Waza, come sistema di allenamento. Per esempio, nel Kendo si realizzavano tecniche di ampio percorso con il fine di sviluppare maggiormente gli arti e fortificare il corpo, ossia come allenamento. Tuttavia, questo sistema di allenamento ben utilizzato serve per preparare la muscolatura per poi poter praticare in Ko-Waza con efficacia. Quanto al lavoro delle posizioni, la specialità di Funakoshi (padre) era il Kiba-Dachi. Yoshitaka lo osservò molto e dal frutto delle sue sperimentazioni nacque la posizione di Fudo-Dachi, in quanto lui basava il suo metodo sulle tecniche esplosive e di lungo percorso. Per questo motivo creò la posizione di Fudo-Dachi: perché questo tipo di tecniche realizzate da posizioni come Zenkutsu-Dachi perdono gran parte della loro efficacia. La stessa cosa accade con i differenti tipi di spostamenti, da Fudo-Dachi possiamo spostarci e cambiare di direzione con la massima velocità e stabilità, il che non accade con altre posizioni. Un esempio chiaro della ricerca di maggior distanza e profondità nelle avanzate di un Tsuki lo abbiamo nella sequenza tecnica di: “Fumi Komi-Soe Ashi ; Gedan Tsuki– Soto Uke” del Kata Empi.

M.F.: Quando vide Yoshitaka Funakoshi per la prima volta?

T.K.: Accadde nel lontano 1944. Anche se le lezioni per principianti erano solitamente impartite da Sensei Hironishi, un giorno la lezione fu diretta da un Sensei differente, che io non conoscevo e quando domandai chi fosse, mi dissero che era Waka Sensei (il giovane Sensei), figlio di Gichin Funakoshi. In questa lezione, Yoshitaka Sensei c’insegnò come realizzare il Mae-Geri adagio e senza abbassare la gamba per poi realizzare lo Yoko-geri e senza raccogliere lo Yoko-Geri fare in ultimo il Mawashi-Geri. Di seguito ci disse: “Adesso vi mostrerò come lo facciamo normalmente” e sferrò i tre calci tanto rapidamente e con tanta forza che ancora mi sembra di vedere la luce bianca dei pantaloni del Karate-gi ed un rumore secco, come quello di una tempesta: tutti rimanemmo impressionati. Quando i nostri Seniors c’insegnavano i Kata, ci raccontavano che, quando Yoshitaka Funakoshi li realizzava, quelli che lo osservavano percepivano una sensazione particolare: la tremenda impressione di un pericolo imminente. E ci dicevano che così dovevano essere i Kata, in modo che quelli che ci osservano, devono percepire e notare qualcosa, sentire una vibrazione della nostra forza interiore e della nostra determinazione. Se quelli che osservano non sentono niente, il Kata non è stato realizzato bene: è un Kata stile “ginnastica o balletto”.

M.F.: Nei suoi corsi ci parla sempre dell’importanza della respirazione e dell’Hara.

T.K.: L’importanza dell’Hara (punto situato a circa tre centimetri sotto l’ombelico) nel Budo ha due origini: da un lato deriva dalla meditazione Zen. Nello Zen si scoprì che dopo la respirazione ordinaria o pettorale, a livello dei polmoni, esisteva un metodo per far scendere l’aria mediante la respirazione verso il centro del corpo, fino all’Hara. Questo dava una maggiore stabilità e più facilità per controllare l’interno del corpo: i movimenti miglioravano notevolmente. Dall’altra parte c’erano i Samurai ed alcuni di essi sperimentarono che, se invece di utilizzare la forza muscolare delle spalle, si utilizzava una stabilità più puntata verso il basso, cioè verso l’Hara, le tecniche divenivano più efficaci e con più possibilità di successo. E dato che già esistevano il Kendo, il Ju-Jutsu, ecc. in Giappone come Arti del Budo, poco a poco si seguì questo cammino anche nel Karate-do. Perciò, si utilizzò la respirazione in questo modo: comprimere l’aria verso l’Hara, mantenerla lì compressa ed utilizzare quest’energia extra come forza esplosiva per la realizzazione delle tecniche. Respirando correttamente verso l’Hara e facendo questa compressione, potremmo generare una forza esplosiva indipendentemente dalla tecnica, per esempio nel Sambon-Tsuki, nel Sandan-Tsuki o negli esercizi in Hente (tecniche concatenate con lo stesso braccio), le quali non si potrebbero realizzare con efficacia con una respirazione a livello del petto, né con la forza muscolare delle spalle. La massima efficacia è possibile solo con la forza esplosiva che genera la respirazione, la stabilizzazione e la compressione nell’Hara.

M.F.: In alcune occasioni ci ha parlato di concetti importanti e, a sua volta, sconosciuti, come il TOATE. Può darci una semplice spiegazione di cosa sia?

T.K.: TOATE significa toccare senza toccare fisicamente, un esempio per avvicinarsi a questa capacità è quando blocchiamo l’attaccante in maniera contundente e con molta energia, all’inizio degli attacchi e per molte volte, ripetizioni dopo ripetizioni, con grande concentrazione e con la respirazione adeguata. Poi in una di queste ripetizioni non riusciamo a bloccarlo, ma lui percepisce invece la sensazione d’essere stato bloccato e non attacca, rimane indeciso. Questo è un esempio di ciò che si definisce TOATE: oltre a questo c’è molto di più da dire e solamente pochissimi Maestri, come Sensei Egami o Yoshitaka, arrivarono ad approfondire questo aspetto. Ad un livello molto superiore, in alcune occasioni, ci è stato raccontato che nell’antichità alcuni Maestri di Budo o Samurai erano capaci di paralizzare piccoli uccelli o pipistrelli senza toccarli. Semplicemente dirigevano la loro intenzione verso questi animaletti e concentrando il loro sguardo, la loro respirazione o il Kiai, riuscivano a paralizzarli per alcuni istanti, il tempo sufficiente per poterli infilzare con la loro lancia.

M.F.: Secondo Lei, quali aspetti della pratica del Budo sono di grande rilevanza?

T.K.: Uno degli aspetti più importanti nella pratica di qualsiasi Arte del Budo sono le ripetizioni di tecniche o di combinazioni. Ma queste non devono essere realizzate con qualsiasi forma: per esempio quando qualcuno ripete molte volte una determinata tecnica o movimento, come 500 – 1000 o 10.000 ripetizioni di TSUKI (colpo diretto di pugno), deve guardarsi dentro e percepire le proprie sensazioni, perché probabilmente solo due o tre dei Tsuki realizzati sono stati eseguiti correttamente (velocità, potenza, posizione), ossia efficacemente. E solo queste due o tre ripetizioni sono importanti, ossia quelle che devono essere ricordate. Perciò, bisogna essere molto recettivi per sentire il momento in cui l’esercizio è riuscito bene, guardarsi dentro e registrare quella sensazione nella mente e nel corpo. Poi ci si deve domandare: per quale motivo questa volta mi è riuscito meglio delle altre? E questo è il salto dal quantitativo (quantità) al qualitativo (qualità): questa è la cosa veramente importante nel processo di apprendimento – come passare da un livello all’altro. La prossima volta che praticherai quella od un’altra tecnica, dovrai provare a ricordare quelle stesse sensazioni, affinché in altre occasioni le tecniche vengano eseguite in sintonia con esse. In questo modo, nella migliore delle ipotesi, occorreranno solo 100 ripetizioni per eseguirne due o tre correttamente. E così, ogni volta si progredirà più rapidamente e potremo trasferire le sensazioni corrette ad un maggior numero di tecniche. Questa è una delle chiavi per progredire, ma non si deve per 30,40 o 50 anni fare sempre lo stesso tipo di allenamento, migliaia di ripetizioni senza percepire o rendersi conto di quel che sta succedendo dentro il nostro corpo, senza migliorare la qualità delle nostre tecniche e confidando esclusivamente sulle ripetizioni. Questo non è sufficiente, bisogna cercare qual è stata la tecnica corretta, come la si è percepita e lavorare con quella sensazione.

M.F.: Lei crede che il Karate-do o il Budo in generale abbiano delle componenti misteriose o raggiungibili solo da pochi eletti?

T.K.: No, la realtà è che nella pratica corretta del Budo bisogna percorrere un cammino molto lungo, nel quale io stesso sono arrivato a molti traguardi, mentre sento di esserne vicino ad altri, li avverto, ma non li ho ancora raggiunti. Per questo motivo, qualsiasi persona può avanzare nel Budo, sempre e solo se segue il cammino corretto per passare da un livello a quello successivo. Questo è ciò che realmente fa la differenza tra un certo tipo di praticanti ed un altro. Quindi, la cosa davvero importante non sono gli anni di pratica, ma la pratica corretta durante questi anni. Questa è l’unico modo di progredire verso un Karate più avanzato. Perciò, quando mi domandano perché si pratichino tante tecniche di attacco, tante volte e con sempre più forza, rispondo che il motivo è perché sperimentare le sensazioni negli attacchi e cercare sempre più contundenza, ci permette di rendere le nostre difese sempre più forti. Questo è dovuto al fatto che, quando riusciamo ad effettuare un attacco più forte, nello stesso momento e con sincerità dobbiamo domandarci se possiamo bloccare un attacco così rapido e contundente.

M.F.: Per concludere, che consiglio darebbe a tutti i karateka?

T.K.: Il mio consiglio per i praticanti di Karate-do è molto semplice. Devono prestare molta attenzione a quello che disse Gichin Funakoshi: “Karate Ni Sente Nashi” (nel Karate non esiste il primo attacco) e questo concetto deve essere profondamente compreso, sia a livello mentale che tecnico. Si deve far sì che il possibile aggressore comprenda mentalmente che è meglio per lui non attaccare, deve sentirlo ed accettarlo. Questo è il vero senso della massima “Karate Ni Sente Nashi” – che l’avversario desista dal suo primo attacco.



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